Notizie scientifiche del 55º Incontro annuale dell’EASD
Sintesi:
- L’affermazione secondo cui offrendo il sapore dolce senza calorie, i dolcificanti ipocalorici possono “confondere il cervello” e portare ad un eccesso di alimentazione non è sostenuta dall’evidenza scientifica
- I nuovi studi confermano che la semplice affermazione della “Risposta dell’Insulina nella Fase Cefalica” in seguito all’assunzione di dolcificanti ipocalorici, che suggerisce un aumento dell’insulina nei primi minuti dopo il consumo, non è convalidata da un’analisi approfondita
- In pratica, la ricerca dimostra che l’intensità del dolce, vale a dire alimenti con un sapore molto o poco dolce, non influenza l’assunzione di alimenti
I dolcificanti ipocalorici vengono utilizzati al posto degli zuccheri per dare il sapore dolce con meno o zero calorie. Per questo, quando le affermazioni suggeriscono che, nonostante il fatto che questi forniscano virtualmente zero calorie, possono tendere ad aumentare l’assunzione di alimenti ed energia, i meccanismi proposti e l’evidenza collettiva dovrebbero essere esaminati e valutati attentamente per fornire ai professionisti del settore sanitario e al pubblico delle informazioni scientifiche accurate.
Allo scopo di fornire una revisione dell’evidenza disponibile per quanto riguarda i dolcificanti ipocalorici, la sazietà e l’assunzione di cibo, il Dott. Paul Smeets, dell’Università di Utrecht, Paesi Bassi, ha parlato di “Dolcificanti ipocalorici e sapore dolce: causa di confusione delle calorie e consumo eccessivo?” in occasione del recente 55º Incontro Annuale della Associazione Europea per lo Studio del Diabete (EASD) a Barcellona, in Spagna, in una sessione organizzata dal Gruppo di Studio Diabete e Nutrizione (DNSG) dell’EASD. Inoltre, ha presentato nuovi dati dal loro lavoro recente e ancora in corso su uno dei meccanismi proposti come percorso potenziale attraverso cui i dolcificanti potrebbero in teoria portare ad un aumento nell’assunzione di cibo, stimolando una Risposta dell’Insulina nella Fase Cefalica (CPIR). Ha spiegato perché quest’ipotesi non si sostiene, in seguito ad un’analisi più attenta, e ha indicato i risultati di revisioni sistematiche recenti a supporto dell’affermazione secondo cui, a livello globale, l’evidenza dagli studi controllati randomizzati su esseri umani indica che i dolcificanti ipocalorici non aumentano l’appetito o l’assunzione di energia (Bellisle, 2015; Rogers et al, 2016).
Il presente articolo mira ad aiutare i lettori a comprendere l’ipotesi della stimolazione di una CPIR e, inoltre, a discutere delle principali conclusioni della presentazione del Dott. Paur Smeets al recente Incontro Annuale dell’EASD 2019. Presenterà anche, brevemente, le conclusioni di una relazione del Prof. Ian Rowland, dell’Università di Reading, Regno Unito, in cui ha parlato di “Sostituzione degli zuccheri con dolcificanti ipocalorici sul microbioma e tolleranza del glucosio: Evidenza vs titoli”.
Cosa è la “Risposta dell’Insulina nella Fase Cefalica” e come si collega ai dolcificanti ipocalorici?
Non appena iniziamo a mangiare degli alimenti, o anche prima, vale a dire semplicemente vedendo o annusando gli stessi, il nostro corpo inizia già a mandare dei segnali e avvia dei processi pre-digestivi chiamati risposte della fase cefalica. Si dice che tali risposte svolgono un ruolo importante nella regolazione dell’assunzione di alimenti e includono delle risposte fisiologiche ed endocrine come la secrezione di insulina.
La Risposta dell’Insulina nella Fase Cefalica (CPIR) è un aumento precoce a basso livello dell’insulina nel sangue associato solo all’esposizione orale, vale a dire che si verifica prima dell’aumento dei livelli di glucosio nel plasma, che si osserva tipicamente con l’assunzione di alimenti che contengono carboidrati. Si è anche ipotizzato che la stimolazione dei recettori del sapore dolce sulla lingua può agire come un segnale per il CPIR in base ad un meccanismo per cui il corpo si prepara all’assorbimento di glucosio alimentare, anche in assenza di carboidrati. Pertanto, dal momento che i dolcificanti ipocalorici si collegano a e attivano i recettori del dolce nella bocca, è stata avanzata l’ipotesi secondo cui questi possano stimolare una secrezione anticipata di insulina, subito dopo l’ingestione, che a sua volta può diminuire i livelli di glucosio nel sangue e, attraverso questo meccanismo, potrebbe portare ad un aumento della fame e ad un eccesso di alimentazione (Liang et al. 1987; Dhillon et al. 2017).
Revisione dell’evidenza scientifica
L’affermazione secondo cui i dolcificanti ipocalorici possono stimolare la CPIR è stata analizzata in vari studi negli anni 90, che hanno dimostrato un’assenza di evidenza per quanto riguarda l’aumento di insulina in seguito ad aver assaggiato vari dolcificanti ipocalorici (Renwick, 1994; Renwick and Molinari, 2010). Tuttavia, la questione è stata risollevata in seguito ad uno studio pubblicato nel 2008 (Just et al, 2008), in cui i livelli di insulina nel sangue sono stati misurati in volontari che hanno assaggiato diverse soluzioni per 45 secondi. Gli autori hanno indicato che sia il saccarosio che la saccarina hanno aumentato i livelli di insulina durante i primi 10 minuti dopo l’assaggio.
Diversamente da questi dati, non è stato rilevato un aumento di insulina nel plasma in altri studi che hanno testato una gamma di dolcificanti diversa: acesulfame-K (Härtel et al, 1993), aspartame (Härtel et al, 1993; Abdallah et al, 1997; Teff et al, 1997), ciclamato (Härtel et al, 1993), saccarina (Härtel et al, 1993; Teff et al, 1997; Morricone et al, 2000), sucralosio (Mezitis et al, 1996; Grotz et al, 2003; Ma et al, 2009; Boyle et al, 2016; Ford et al, 2011; Grotz et al, 2017). In una revisione della letteratura di Mattes e Popkin, gli autori hanno concluso che i risultati combinati non offrono un supporto sufficiente all’affermazione secondo cui i dolcificanti ipocalorici stimolerebbero la fame attraverso risposte della fase cefalica (Mattes e Popkin, 2009).
Inoltre, nella sua relazione, il Dott. Smeets ha presentato i risultati di un recente lavoro di ricerca condotto dalle Università di Wageningen e Utrecht, nei Paesi Bassi, che dimostra che la CPIR in generale non è un determinante significativo nel desiderio di cibo, fame o risposta del glucosio (Lasschuijt et al, 2017; Lasschuijt et al, 2018). È stata interessante anche la presentazione dei risultati preliminari di una revisione sistematica e metanalisi in corso della letteratura umana sulle risposte della fase cefalica (52 documenti). Sulla base delle loro scoperte, gli autori indicano che le risposte della fase cefalica non avvengono regolarmente ed esiste una notevole variabilità nella magnitudine e nei tempi di insorgenza. Hanno anche notato che la rilevanza fisiologica della CPIR è discutibile e che il loro ruolo nell’omeostasi (glucosio) e nella sazietà è questionabile. In generale, il Dott. Smeets ha concluso che l’ipotesi della CPIR non è molto forte e che la semplice affermazione della CPIR per quanto riguarda i dolcificanti ipocalorici non è sostenibile.
Di fatto, l’evidenza sostiene che l’assunzione di dolcificanti ipocalorici non aumenta né elimina l’appetito negli esseri umani e, in molte situazioni, il loro uso è associato ad una minore assunzione di alimenti dal sapore dolce, e ciò suggerisce che i dolcificanti ipocalorici possono aiutare a soddisfare un desiderio di dolce e che i dolcificanti ipocalorici non stimolano la “golosità” (Bellisle, 2015).
Dolcificanti ipocalorici e microbiota intestinale
La relazione del Prof. Ian Rowland, dell’Università di Reading, Regno Unito, è stata anch’essa particolarmente interessante. Il Prof. Rowland ha presentato i risultati di studi su animali ed esseri umani che hanno esaminato l’effetto dei dolcificanti ipocalorici sul microbiota intestinale e ha analizzato le conclusioni di un recente documento di revisione di Lobach et al (2019). Ha concluso che, anche se se ne parla con frequenza nei media, l’evidenza attuale non è a supporto dell’idea che i dolcificanti ipocalorici possano avere un effetto negativo sulla salute a causa del loro impatto sul microbiota intestinale. Ha aggiunto che nei livelli tipici del consumo di dolcificanti ipocalorici di un essere umano, sarebbe improbabile che questi abbiano un effetto significativo dal punto di vista clinico sul microbioma.
Il Prof. Ian Rowland è stato un relatore invitato alla Conferenza dell’ISA 2018 a Londra. La relazione che ha presentato alla Conferenza dell’ISA 2018 è disponibile online e la si può guardare facendo clic qui.